Il carisma di Silvio
Poirino

La comunità parrocchiale e cittadina risponde al carisma di Silvio

25/09/2022 - Omelia 43° morte del venerabile Silvio
Ogni anno, la festa di Silvio, è per la nostra (e sua) parrocchia un tempo forte di spiritualità e di discernimento. Come rispondere al dono della testimonianza di Silvio fatto alla nostra comunità? Qual è il carisma (il “talento”) che questo coraggioso ragazzo lascia alla nostra comunità perché lo faccia fruttificare?
E’ ogni volta il vangelo dell’ultima domenica di settembre che guida il nostro discernimento. Quest’anno quindi ci siamo lasciati guidare dal vangelo del povero Lazzaro.
Gesù non perde occasione per parlare del Padre, rivelandone ogni volta la meraviglia della misericordia, che è il vero volto della sua potenza. Oggi ci svela che, innanzitutto, Dio tiene molto a ognuno di noi. Ci conosce e ci segue in tutti i particolari. Scruta il vestito del ricco e sa come veste il povero: vede il ricco vestito di porpora, guarda l’uomo vestito di piaghe. Conosce la tavola del ricco e conta a una a una le briciole date a Lazzaro. Con sguardo amorevole e attento attende le parole che Lazzaro spera di sentire. Guarda dove dorme. Guarda i cani sulla porta. Tutto ciò che vede, dell’anonimo ricco e di Lazzaro, è riportato all’eterno. Lo sapeva già bene Mosè, che Dio conosce il dolore dei suoi figli. Lo ricorda il profeta Amos che all’onnipotente non sfugge nulla dell’”orgia dei buontemponi" e della miseria degli arroganti.
In che cosa consiste il peccato del ricco? Nella ricerca del lusso? Nella cultura del piacere? Negli eccessi della gola? No. Il suo peccato è pensare solo a sé, non accorgersi di chi è alla porta. Semplicemente: nel non vederlo. Che ne sa lui...? Non un gesto, non una parola, non una briciola. Ha lasciato il mendicante solo con i cani. Il suo peccato è l’indifferenza: come se l’altro non esistesse. Il ricco non fa del male al povero. Soltanto, non fa nulla. Ma fare nulla per chi ha bisogno è di ridurre a nulla l’altro: «Chi non ama è omicida» (cfr. 1 Gv 3,15). A tanto si spinge la testimonianza di un apostolo che ha ascoltato a lungo il maestro, cogliendo bene il suo pensiero, lui, il discepolo amato.
L’eternità inizia qui, l’inferno è il prolungamento dell’abisso dell’indifferenza narcisistica. Il peccato separa dagli altri e fa morire. L’inferno inizia nella vita centrata su di sé. «Chi non ama, rimane nella morte» (1 Gv 3,14). Per sempre. Il paradiso è prefigurato dall’esperienza che tutti possono fare che quando fai gratuitamente qualcosa per qualcuno che ha bisogno provi una gioia e una serenità che nessun lusso, nessuna ricchezza potrebbe darti.
In cosa consiste la bontà del povero? Lazzaro è salvato non per la sua bontà ma perché non avendo nessuno, aveva Dio solo, era abbandonato nell’amore suo. L’aldilà non fa rendere esplicito quello che l’aldiquà pareva nascondere. Sì, perché per Gesù esiste davvero un futuro, un eterno in Dio. Ma è preparato dalla vita di qui, dove ciò che conta è “tendere alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza”.
Il ricco è senza nome, perché spesso il denaro diventa come la seconda identità di una persona, domina la sua coscienza, detta le leggi, ispira i pensieri. Vivendo in quel modo, quell’uomo, ha perso ogni dignità.
Il povero invece ha un nome, (Lazzaro, un nome caro per Gesù, quello di un amico). Il racconto della parabola dà così modo a Gesù di formulare il suo messaggio più importante: la forza della vita è la fede. Alla fede non serve il miracolo. Non si crede per i miracoli: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi”. Basta la Scrittura per non perdere dignità e salvezza.
«Dio abita una luce inaccessibile», dice Paolo (1 Tim 6,16), eppure è accanto fisicamente e sempre a ognuno di noi. Dio abita nel povero, dice l’evangelo; anzi nelle piaghe del povero.
Lazzaro alla porta ci ricorda Silvio nel suo letto della malattia, le piaghe del mendicante sono l’avanzare della morte. La dignità di Lazzaro è la virtù eroica documentata di Silvio.
La dignità e il miracolo della sua giovane vita sono anche il messaggio che la comunità credente di Poirino accoglie da questo giovane concittadino. Avere qui le sue spoglie mortali ci rende più facile ricordarci di lui e della nostra missione, ogni giorno.
Abbiamo un compito molto impegnativo nel dono di santità di Silvio: ritrovare il senso sacro del vivere e del morire per rifondare il senso dei nostri legami. Silvio ha continuato a credere che Gesù gli voleva bene, anche quando sentiva la morte avanzare. Credere nell’amore gli dava la forza non solo di sopportare il dolore ma anche di accorgersi e di preoccuparsi per chi gli era vicino (mamma e papà, per esempio). Come dicevano gli antichi monaci, infatti: “Dove c’è amore c’è l’occhio”. Una comunità che crede nell’amore di Dio “ha l’occhio” per accorgersi di chi ha bisogno e per restituire ai Lazzaro che incontra l’amore che ha gratuitamente ricevuto. Quest’anno, negli incontri di preghiera dell’ultimo mercoledì di ogni mese, lavoreremo su questa testimonianza di Silvio: avere occhio verso l’indigenza e il dolore che vediamo intorno a noi.

Indicazioni pratiche:
Il carisma di Silvio ci impegna in almeno tre direzioni:

1. La nostra parrocchia, ricordando Silvio, s'impegna in particolare i bambini e i ragazzi della catechesi e dell'oratorio ad avere occhio verso i bisogni degli altri

2. Ci impegniamo a far conoscere il coraggio di Silvio nel pensare agli altri anche quando il dolore era insopportabile.

3. Ci impegniamo a intensificare il progetto educativo della nostra parrocchia, con proposte coraggiose di servizio verso gli ultimi.



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