Parrocchie di Poirino



Alcuni spunti per la preparazione alla liturgia della prossima domenica



Io sono la vera vite: un’affermazione che va letta alla stregua delle altre analoghe affermazioni di Gesù. «Sono il vero pane», «Io sono la luce». In queste affermazioni c’è una nota polemica: Gesù è la vera vite, il vero pane, la vera luce. Tutte queste affermazioni indicano che Gesù, e non altri, è in grado di offrirci quella vita che andiamo cercando.
L’affermazione di Gesù («Io sono la vite») introduce una novità rispetto all’Antico Testamento. Là si dice che Dio ha una vigna, qui si afferma che Dio stesso è la vite. Nell’Antico Testamento si parla di una vigna e di una vite che non sono all’altezza delle attese di Dio. Se qui l’evangelista Giovanni può affermare che la vite è finalmente all’altezza delle attese di Dio, è unicamente perché Gesù è la vite.
Ma qual è più ampiamente il punto di vista di Giovanni nel costruire questa allegoria? Solo un ringraziamento perché ora il discepolo, unito al Cristo, può finalmente portare frutti? O anche un elemento di inquietudine, di pericolo e quindi di avvertimento? L’uno e l’altro. C’è infatti anche il tema della prova (il Padre pota), che è un’indispensabile condizione di fecondità, ma che rimane pur sempre una possibilità di smarrimento. Si sottolinea che anche il cristiano può essere un ramo secco improduttivo! È la solita paradossale e sconcertante antinomia: la comunità è in Cristo, e quindi protetta, salvata e feconda, ma la possibilità del peccato non è assente. L’aggettivo «vera» che qualifica la vite si oppone all’antico popolo e a ogni altra pretesa di salvezza, ma il giudizio (chi non rimane in me viene gettato via) si riferisce agli stessi cristiani che non portano frutto. Criterio di giudizio sono i frutti, il ramo fruttifero viene potato, il ramo sterile bruciato. Ma più in profondità, il criterio di giudizio è il rimanere in Cristo, cioè la più assoluta dipendenza da lui: chi rimane in Gesù dà frutto, chi si stacca inaridisce. «Senza di me non potete far nulla» riprende un motivo caratteristico del Vangelo di Giovanni e, più in generale, dell’antropologia biblica: la struttura dell’uomo è essenzialmente aperta a Dio. Perciò l’uomo deve comprendere che la propria consistenza si trova nell’obbedienza, non nell’autonomia. Si tratta di una dipendenza da vivere anzitutto come fede e fiducia (nel senso cioè di appoggiarsi a Cristo e non a se stessi) e poi come osservanza dei comandamenti (cioè nel senso di conformare la vita alle parole di Gesù e non ai propri progetti). Non è però la dipendenza del servo nei confronti del padrone, ma piuttosto la comunione che corre fra amici: Giovanni infatti non parla soltanto di rimanere ma di un rimanere vicendevole: «Chi rima

prima lettura At 9,26-31
Una comunità che non crede di colpo che il feroce persecutore di ieri abbia potuto convertirsi e lo accoglie al suo interno solo in base alla garanzia offerta da un uomo di fiducia e assennato; degli amici per i quali questo cambiamento è un inaccettabile tradimento: nulla di molto originale in tutto questo. Ma ciò che è accaduto a Paolo contiene un insegnamento che merita di essere conservato: nella Chiesa, carismi, rivelazioni e altre manifestazioni divine private vengono riconosciute autentiche solo in seguito a una seria verifica.

Dagli Atti degli apostoli
In quei giorni Paolo, 26 venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi con i discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo.
27 Allora Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. 28 Così egli poté stare con loro e andava e veniva a Gerusalemme, parlando apertamente nel nome del Signore 29 e parlava e discuteva con gli Ebrei di lingua greca; ma questi tentarono di ucciderlo. 30 Venutolo però a sapere i fratelli, lo condussero a Cesarea e lo fecero partire per Tarso.
31 La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria; essa cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito santo. - Parola di Dio.

salmo responsoriale 21, 24ab.26b.27; 28.30ab; 30c-32
Non vi è sofferenza che non possa condurre a una risurrezione; non vi è persecutore che non possa diventare discepolo. Ecco l'opera di Dio che non bisogna dimenticare.

Rit. A te la mia lode, Signore, nell’assemblea dei fratelli.

24 Lodate il Signore, voi che lo temete,
gli dia gloria la stirpe di Giacobbe.
26 Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
27 I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano
"Viva il loro cuore per sempre".
28 Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui
tutte le famiglie dei popoli.
30 A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.
E io vivrò per lui,
31 lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore
alla generazione che viene;
32 annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
"Ecco l’opera del Signore!".

seconda lettura 1Gv 3,18-24
Terzo tema della Prima lettera di Giovanni: la carità fraterna, "non a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità", criterio ultimo dell'appartenenza a Dio, della comunione con lui, fondata sul dono dello Spirito; la fedeltà ai comandamenti e la fede in Gesù, garanzie della preghiera esaudita e della pace del cuore.

Dalla prima lettera di Giovanni apostolo
18 Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità. 19 Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore 20 qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.
21 Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio; 22 e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui.
23 Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. 24 Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato. - Parola di Dio.

canto al Vangelo Gv 15,4.5
Alleluia, alleluia.
Rimanete in me ed io in voi, dice il Signore;
chi rimane in me porta molto frutto.

Vangelo Gv 15,1-8
Una condizione per produrre frutto che "rimane" e "glorifica il Padre" è quella di restare saldamente uniti a Gesù, la "vera vite". "Rimanere": il verbo ricorre otto volte in questi otto versetti, per esprimere l'unione fra il Padre e il Figlio, fra il Signore e i discepoli, chiamati ad entrare nell'intimità del Padre, del Figlio e dello Spirito.

X Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:1 "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato.
4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. 6 Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli". - Parola del Signore.





Spunti per le catechiste per il vangelo di domenica:


Possibili spunti



Consiglio alle catechiste