Parrocchia di Poirino




TEMA: Cosa fare con un(a) ragazzo(a) forzatamente chiuso in casa... - in data: 30/03/2020

Rimanere forzatamente in casa per due mesi (o fino a quando?) è una vera tortura sia per i genitori sia per il figlio preadolescente (medie) o adolescente (superiori). Questa pandemia porta all’estremo un vero paradosso: l’adolescenza è l’età in cui i figli si organizzano per “liberarsi” dei genitori, vogliono uscire dal nido familiare e spiccare il volo con gli amici, svincolarsi dal controllo e dalle regole. In questo periodo si trovano obbligati a fare esattamente l’opposto: chiusi in casa proprio con i genitori! Dovrebbero evidentemente studiare... Sappiamo che i ragazzi chiusi in casa non possono dare le stesse performance come avviene in classe, perché, lo sappiamo, vivono pressioni emotivo e una vera modificazione della neurofisiologia cerebrale. Può diventare normale assistere a esplosioni
Emotive, ad agiti di aggressività imprevedibile, alla perdita del senso della misura e dell’autocontrollo.
Le provocazioni verso i genitori possono capitare quasi all’ordine del giorno: incollati ai (vari) video anche per ore, opporsi alle richieste scolastiche, fino anche a scambiare la notte in giorno, a evitare la condivisione della tavola e a espressioni più o meno intense di aggressività e nervosismo.
Questa pandemia ci fa sentire tutti più fragili, non solo per i rischi di contagio ma anche per la gestione della nostra povera psiche, del suo stress e della fatica emozionale dei figli come dei genitori.
La difficoltà educativa che c’era già prima, adesso diventa ancora più evidente nella caduta di speranza e di progettualità tipica del nostro tempo.
Questa sofferta difficoltà nei rapporti genitori-figli e la trasgressività che in queste ristrettezze è meno controllabile, può però diventare l’occasione opportuna in cui imparare e sperimentare un altro modo di vivere insieme figli e genitori, anche e soprattutto nella condizione così fragile dell’attuale adolescenza.
Il modello, paradossalmente, è la famiglia di Nazareth, così lontana da noi nel tempo e nella mentalità eppure così attuale. Gesù a 12 anni sa il fatto suo e si comporta in modo del tutto autonomo. Insegue la sua vocazione. I suoi genitori sono visibilmente scossi e umanamente distrutti: “Perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (Chi avrebbe risposto diversamente?). La risposta di questo adolescente è imprevedibile (come quelle dei ragazzi di oggi): “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? Maria e Giuseppe “non compresero le sue parole”. Non meno sorprendente è il seguito del racconto: “Partì dunque con loro e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore”. Questo travaglio educativo arriva fino alla croce. Lui andando dentro la morte e lei lasciandolo andare, vanno insieme verso Dio di cui accolgono e compiono la volontà, in una doppia paradossale obbedienza.
Forti di questo esempio, la famiglia può diventare oggi, proprio in questi giorni, una grande scuola di democrazia, perché può sperimentare una nuova gestione dell’autorità e così fornire il suo codice anche alla scuola e alla società civile.
E’ vero che non si educa innanzi tutto insegnando (imponendo regole), ma amando: la nuova autorità non è basata, infatti, sulla distanza e neppure sul timore. Genitori e figli non sono però posti sullo stesso piano. La comunicazione è improntata alla tenerezza e alla confidenza ma non secondo i codici dell’amicizia tra pari. Il criterio fondamentale è la trasparenza, che garantisce l’affetto e la supervisione responsabile da parte dei genitori ed esclude da parte loro ogni violenza e comunicazione umiliante. Il figlio vede che il genitore non si arrende, non si arrabbia, continua a essere in relazione con lui. Se il figlio si rifiuta, il genitore aspetta. Mantiene le sue posizioni, alle quali è giunto consapevole e convinta. Ritorna anche il giorno dopo. I suoi interventi non si limitano alla sfuria di un momento o a un fugace confronto.
L’autorità tradizionale si fondava sull’onore del ruolo e intendeva facilmente le misure disciplinari come umiliazione. Cercava di mantenere le distanze di ruolo attraverso il distacco affettivo (soprattutto paterno). La nuova autorità vigila su ogni abuso.
Non nasconde i comportamenti sbagliati dei figli e cerca di non diventare complice di parole e agiti violenti del figlio. L’autorità è rinforzata non dal tono di voce né dall’imposizione del ruolo né dalla provocazione del timore. È invece sostenuta dall’esercizio della responsabilità, scegliendo scrupolosamente i mezzi adeguati.
Non usa (possibilmente) con il preadolescente espressioni dirette: “Finisci questo compito; sbrigati a venire non vedi che siamo tutti a tavola! Capisci che ti stiamo aspettando?; Cosa dobbiamo fare per farci ascoltare? Quando ti degnerai di considerarci?; È possibile che non ascolti mai quello che ti diciamo?”.
La comunicazione è piuttosto indiretta, cerca sempre la collaborazione e prepara l’intesa, anche se a queste l’adolescente non sembra proprio interessato: “Dobbiamo tenere in ordine la casa, diamoci da fare tutti. Ci sarebbe da fare questo lavoro, come possiamo organizzarci. Ci sono i compiti e gli impegni che ti chiede la scuola, come stai organizzandoti? Hai bisogno di aiuto?”.
I punti forza della nuova autorità sono presenza e cura. Il monitoraggio è la forma di presenza più efficace. Pazienza e silenzio possono trasmettere determinazione e potere personale. Se si resiste alle sfide senza esplodere e non si cade nell’escalation provocata dal figli si dà prova di avere solide basi. Questa pazienza è una comunicazione indiretta molto chiara e rassicurante “Non posso costringerti ma ti tengo d’occhio e resisto al tuo comportamento negativo”.
I genitori sono sempre presenti nella vita del figlio, pur non invadendo la sua intimità. Il loro sforzo continuo e paziente aumenta il senso di competenza e di premura, elementi base della nuova autorità.
Questa autorità, indispensabile eppure molto diversa dal passato, esige e costruisce una nuova obbedienza, come vedremo nella nostra prossima catechesi.